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Proprio nel cuore di Ortigia, fra le viuzze chiamate “rua” o “ruga”, è possibile ancora oggi visitare uno dei più antichi bagni ebraici d’Europa. Il miqweh si trova esattamente nell’antico quartiere ebraico, la Giudecca, dove sono evidenti le tracce dell’antica comunità ebraica di Siracusa. Il rione della Giudecca merita senz'altro di essere visitato durante la permanenza a Siracusa, anche per i suoi caratteristici vicoletti e per il vicino e suggestivo "lungomare di levante". Al tempo del ritrovamento, il quartiere era in stato di completo abbandono, non vi erano luci nelle strade, né negozi. La famiglia della marchesa Daniele, decise ugualmente di acquistare e ristrutturare un palazzo nel cuore della Giudecca, una struttura che si trova in via Alagona e, attualmente, ospita un albergo turistico. La Daniele, nonostante il palazzo fosse sommerso di spazzatura e vandalizzato, si accorse della sua bellezza e dignità. Lo aveva amato a prima vista e lo acquistò un pezzo alla volta. Dopo un’attenta ristrutturazione, mirata a non cancellare le orme antiche, si accorse che contigua ad un cortiletto, c’era una costruzione senza alcun acceso.
Sopra questo blocco, vi era una stanzetta e Amalia intuì che doveva esserci qualcosa anche sotto. Così, guidata dalla sua intuizione e curiosità, decise di indagare. Assistita da un vecchio muratore, cominciò a bucare il muro e trovò una piccola stanzetta piena di terra, ma con una volta a crociera.
Piena di felicità, continuò i lavori e ripulita la stanza, scoprì l’esistenza di una lunga scala. I lavori di sgombero dei detriti richiesero molto tempo e un grande impegno economico. Però, la curiosità l’aiutava a non fermarsi e a portare avanti l’impresa, fin quando vennero alla luce 58 gradini, che formavano tre rampe di scale, alla fine delle quali si aprì alla vista una grande sala, sommersa dalla fanghiglia, ma magnifica.
La sala aveva forma quadrata, con quattro colonne che sostenevano una volta a crociera perfetta e , attorno a queste, vi era un ambulacro che le includeva tutte, con volte a botte.
Tutto intorno alla sala correva un sedile, scolpito nella pietra viva, a 18 metri di profondità. Nel pavimento c'erano tre vasche poste a trifoglio con all’interno dei gradini. Durante la ripulitura dal fango, nel fondo delle vasche, Amalia trovò anche dei cocci di ceramica delicatissima e delle piccolissime lucerne.
Con l'aiuto di esperti riuscì a datare la chiusura di quel luogo: la fine del 1400. Emozionata e determinata, la Daniele, cominciò un'affannosa ricerca fra testi e libri antichi, contattò esperti e professori e mise ordine fra le informazioni a sua disposizione: aveva scoperto un antico bagno ebraico, che serviva per la purificazione prima dei rituali. Le vasche erano alimentate da pura acqua sorgiva, che sgorgava dal sottosuolo. Il bagno ebraico è stato preservato ed è possibile visitarlo tuttora.
Nonostante questa scoperta straordinaria, le ricerche di Amalia non si fermarono. L’amore e l’attenzione per questi luoghi, le fecero notare un’iscrizione, su una pietra murata nell’abside della chiesa di San Giovanni, attigua al bagno ebraico. Con l’aiuto e la traduzione della professoressa Antonella Mazzamuto e del fratello Salvatore, capì che l’iscrizione si riferiva alla sinagoga di Siracusa, che molto probabilmente era presente in quel luogo, prima della costruzione della chiesetta cristiana. Oggigiorno la chiesa di San Giovanni, ubicata lungo via della Giudecca, è consacrata e aperta, soprattutto in occasione di matrimoni o eventi culturali.